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MaiM, by Paolo Crestani

 

Maim di Paolo Crestani è un ambizioso cortometraggio sul destino di una coppia. Un uomo ed una donna s’incontrano in un bar in un presente che sembra segnare positivamente l’avvio della loro storia, ed in un futuro che sembra corromperla, sgretolarla e condannarla definitivamente alla sconfitta ed all’oblio. Da una parte, dunque, la luminosità e la leggerezza degli inizi, dall’altra il grigiore del declino, l’approssimarsi di un’oscurità che è, in fondo, tutta interiore. Questa struttura dicotomica su cui intende poggiare il film, passando in modo brusco da un momento all’altro del tempo, nasconde forse un’intenzione narrativa ancor più ambiziosa, che avrebbe magari trovato maggiore espressione se la storia fosse stata diluita in un lungometraggio: perché sorge forte il sospetto che le due sezioni di tempo non seguano la linea di un unico destino, ma appartengano probabilmente a due sviluppi ipotetici, e dunque a due contrastanti universi paralleli. Uno in cui la coppia – intesa metaforicamente non solo come unione sentimentale, ma più ampiamente come incrocio di destini – si realizza felicemente, ed un altro in cui la stessa coppia, nello stesso luogo, si scopre capovolta, messa in negativo, deformata, quasi immagine riflessa da uno specchio maligno che la rende altra da sé, in una sorta di meccanismo sdoppiante che tanto ricorda lo strano mondo del Dottor Jekyll e del Signor Hyde. Il corto, difatti, accenna chiaramente all’idea degli universi paralleli grazie ad una messa in scena che potremmo definire onirica, tanto da un punto di vista fotografico e scenografico che meramente recitativo. Gli attori sembrano infatti interpretare/rivivere frammenti di sogno più che momenti di autentica realtà. Gesti, risate, smorfie di divertimento o di dolore, battute smozzicate, sembrano provenire da un ricordo che continua a moltiplicarsi, identico a se stesso, fino a perdere completamente qualsiasi legame con la realtà, con la matrice originaria, finendo per galleggiare in una sorta di limbo dove tutto viene ripetuto in modo automatico, quasi per parodiare quella realtà di cui si è perduta ogni evidenza e necessità. Ovviamente, come dev’essere in una scrittura metaforica e stratificata, quegli universi paralleli possono essere a loro volta simbolo di un discorso puramente psicanalitico, perché l’interiorità umana è sempre infinitamente sdoppiabile, sempre leggibile in due versi, sempre capace di capovolgersi nel suo contrario, sempre pronta a riformulare il bene in male o viceversa. La struttura dicotomica, come in un quadro medioevale, non può che mettere in fondo in scena l’eterno conflitto tra bene e male. Ed è, in conclusione, il vero tema di Maim: la luce che si riconverte in buio, la gioia in dolore, la salvezza in dannazione. In un’epoca in cui il destino delle relazioni interpersonali sembra irrimediabilmente condannato all’equivoco, al conflitto, alla distruzione, questo discorso appare quanto mai urgente ed attuale. Come attuale è l’interessante metafora dell’acqua, presente nel passato e nel futuro della coppia come elemento fondamentale e costantemente a rischio, immagine forse di un’unificazione perduta col mondo naturale. Di certo, la scrittura dell’Autore dovrà ancora evolversi, maturare e svilupparsi, soprattutto se si prediligono temi stratificati che un cortometraggio può, per propria natura, solo accennare o introdurre.

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Paolo Crestani

Appassionato di cinema fin dalla tenera età, ha iniziato pian piano ad
ampliare la sua passione verso il mondo artistico. Provando a scrivere e dirigere cortometraggi amatoriali, ha deciso di fare un anno di tirocinio presso uno studio fotografico. La cooperativa Porto Alegre ha poi selezionato i suoi scatti per esibirli nella mostra "Arte liberata",

Quale messaggio vuoi comunicare con questo film?

Ciò che volevo comunicare con questo film è la continua possibilità di perdere ciò che si ha e di cui si dà per scontato. Questo vale tanto per l'individuo quanto per l'intera società/umanità, e per questo ho deciso di rappresentare ciò con il bene primario necessario e sufficiente per la vita, l'acqua.

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Come hai iniziato a fare film?

In adolescenza registravo e montavo video da pubblicare sul mio canale YouTube, un po' per gioco, un po' per passione, perché a quel tempo il web non ne era ancora così saturo. L'esperienza si è fermata per vari anni, finché ho deciso di realizzare sorte di cortometraggi, anche se in modo molto amatoriale. Ho deciso poi di iscrivermi all'Accademia Nazionale del Cinema di Bologna per imparare meglio il mestiere, collaborando poi con alcuni filmmaker in vari ruoli tecnici. Intanto ho proseguito a realizzare altri lavori per conto mio.

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Hai sempre le idee chiare quando sei sul set? Quanto peso dai all'improvvisazione e quanto alla pianificazione?

Sul set dò molta importanza all'improvvisazione, tanto più se i consigli tecnici e/o narrativi vengono da persone che hanno altri ruoli, come gli attori o gli assistenti: credo sia importante realizzare un'opera con più menti e prospettive. Penso sempre che la regia appartenga in vari frammenti a tutta la crew. Ciò non toglie che l'idea iniziale debba essere chiara, e con un workflow organizzato: il film è un'opera aperta fino al montaggio finale.

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Che tipo di rapporto instauri con gli attori? Pensi che debbano essere lasciati liberi di esprimere il loro potenziale o sei convinto che vadano seguiti in ogni singolo aspetto?

Gli attori devono esprimersi al meglio, e la cordialità fra tutti deve essere presente. Se qualcosa non va bene si deve parlare molto tranquillamente e spiegare in modo affabile la propria opinione. Penso che si debba sempre mantenere la calma per creare un set in cui ognuno sia a proprio agio: un set con la preoccupazione per i tempi e/o il lavoro da svolgere aumenta soltanto il disagio, fa volare il tempo e ne va dell'opera finale. Gli attori messi alle strette non trovano il lavoro come un divertimento e non entrano nel ruolo, a parer mio.

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Che tipo di rapporto hai con la grammatica universale del linguaggio cinematografico? Come decidi quale inquadratura usare in una scena o quale movimento di macchina applicare per raggiungere il tuo obiettivo?

La grammatica cinematografica deve assolutamente sottostare all'espressione filmica. Dopo aver preparato la sceneggiatura, inizio a pensare intensamente, prendendo appunti, a come poter metaforizzare ciò che è scritto testualmente in ciò che sarà scritto con le immagini. Un esempio (il più visibile) da "MaiM": il campo-controcampo della coppia borghese è realizzato con la macchina da presa posta su un treppiedi, ché la fissità del punto di vista vuole significare la ferma convinzione errata dei due personaggi; d'altra parte nella linea temporale dei due nell'altro ruolo, ho usato la macchina a mano cosicché può significare più libertà di movimento (anche febbrile) fisico-psicologico.

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Quanto di tuo metti nei film che realizzi? Ti limiti a dare la tua impronta stilistica o cerchi di comunicare le verità in cui credi o gli stati d'animo che vorresti trasmettere? 

Io penso che la creatività debba accostarsi al proprio stato d'animo e alle relative idee che si hanno quando viene creata l'opera. Creare un film mi dà un senso di catarsi quanto vederne uno.

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